«Mi dispiace, ma c'è una lista d'attesa».
Un tempo, questa frase rappresentava un fallimento del servizio clienti. Oggi è diventata una sofisticata strategia di marketing. Nell'economia dell'abbondanza digitale, dove tutto è disponibile con un clic, l'inaccessibilità immediata si è trasformata - paradossalmente - in un potente strumento di desiderio. Dalla Birkin di Hermès ai nuovi modelli Tesla, o ancora le sneaker in edizione limitata e le app in versione beta, il messaggio è lo stesso: “Non puoi avere subito ciò che desideri. Ed è proprio questo a renderlo ancora più prezioso”.
Benvenuti nel marketing dell'attesa, una dimensione in cui il ritardo calcolato genera desiderio, crea status e, incredibilmente, aumenta la soddisfazione finale.
Da necessità a strategia: l'evoluzione dell'attesa
L'attesa non è sempre stata una tattica di marketing. Prima dell'era digitale, era semplicemente una conseguenza di limitazioni logistiche o produttive. Le liste d'attesa esistevano, sì, ma perché non c'era alternativa. Oggi, nell'epoca della produzione on-demand - e della gratificazione istantanea, è diventata una scelta deliberata.
Insomma: è marketing, non necessità.
Prendiamo Hermès: le sue iconiche borse Birkin non sono limitate per problemi produttivi: l'azienda, chiaramente, potrebbe aumentare la produzione per soddisfare la domanda. Ma sceglie di non farlo, ed è proprio questa "scarsità programmata” che ha trasformato questi accessori in oggetti iconici, per i quali i clienti sono disposti ad aspettare anni e pagare cifre astronomiche. Lo stesso principio è ricaduto nel mondo digitale. Quando Bluesky ha lanciato la sua piattaforma social nel 2023, ha utilizzato un sistema a inviti che ha creato liste d’attesa di milioni di persone. L’app era tecnicamente pronta per un lancio di massa, ma la strategia dell’esclusività ha generato un hype e una percezione di valore che un lancio tradizionale non avrebbe mai raggiunto. Gli inviti erano così ambiti che venivano venduti su eBay per centinaia di dollari - trasformando l’attesa stessa in un bene commerciabile.
La psicologia dell'inaccessibilità programmata
Cosa rende così efficace questa strategia? La risposta risiede in alcuni principi fondamentali della psicologia umana. Il primo è la scarsità percepita: in breve, quando qualcosa è difficile da ottenere, automaticamente gli attribuiamo maggior valore. È un bias evolutivo, manco a dirlo, che riporta ai tempi remotissimi, in cui le risorse scarse erano più preziose per la sopravvivenza. Questo meccanismo primordiale oggi viene oggi sfruttato per vendere qualsiasi cosa: dalle scarpe ai software. Il secondo meccanismo che entra in gioco è la validazione sociale. Quando vediamo altri in fila per qualcosa, presumiamo che quel qualcosa abbia valore. È il principio che ha reso celebri le code fuori dagli Apple Store durante i lanci di nuovi iPhone. Quelle persone in attesa non erano solo clienti: erano involontari testimonial della desiderabilità del prodotto. C'è poi l'effetto dell'investimento personale. Più investiamo per ottenere qualcosa (tempo, pazienza, perseveranza), più tendiamo a valutarlo positivamente. Gli psicologi lo chiamano “giustificazione dello sforzo”: se ho aspettato sei mesi per avere quel prodotto, devo convincermi che ne sia valsa la pena. Un esempio? L’attesa infinita per la PlayStation5, nonostante la consapevolezza che poco sarebbe cambiato dalla versione precedente. Magari anche in termini di utilizzo. Infine, l'attesa aumenta l'anticipazione positiva, un potente generatore di doppia soddisfazione: prima immaginiamo quanto sarà bello avere quel prodotto, poi finalmente lo otteniamo. La gratificazione istantanea offre un solo momento di piacere; l'attesa ne crea due.
Anatomia dell'attesa strategica: diverse tattiche per diversi obiettivi
Il marketing dell'attesa assume forme diverse a seconda degli obiettivi del brand. C'è l'attesa permanente, tipica dei beni di lusso come le già citate borse Hermès o i Rolex, accessori la cui inaccessibilità è parte integrante dell'identità del prodotto e del suo valore. Non è solo marketing: è posizionamento. Poi c'è l'attesa ritualizzata dei “drop” programmati, resa celebre da brand come Supreme. Ogni giovedì, alle 11:00, il marchio rilascia nuovi prodotti in quantità limitata. I fan sanno esattamente quando l'attesa finirà, così il momento del rilascio si trasforma in un evento collettivo che genera comunità. L'attesa gerarchica dei sistemi a inviti crea invece un meccanismo piramidale attraverso cui alcuni utenti - privilegiati - ottengono accesso prioritario. Questi “eletti” diventano poi ambasciatori del brand, invitando altri e creando un effetto valanga controllato. Gmail, lanciata nel 2004, utilizzò questa strategia, permettendo ai primi utenti di invitare un numero limitato di amici.
Quando l'attesa diventa un prodotto
Nel caso più estremo, l’attesa stessa diventa il prodotto principale. È il caso di Notion AI, la funzionalità di intelligenza artificiale di Notion lanciata con una lista d’attesa strategica che ha generato conversazioni e anticipazione per mesi prima dell’effettivo rilascio. O pensiamo a Telfar, il brand di borse che ha reso le sue “shopping bag” oggetti di culto grazie a drop limitati che esauriscono in minuti. L'azienda ha poi lanciato il “Bag Security Program”, un evento in cui, per 24 ore, chiunque può pre-ordinare qualsiasi borsa, garantendosi la consegna mesi dopo. L'attesa diventa così un servizio, un'opportunità presentata come privilegio. In questi casi, ciò che il cliente acquista è l'esperienza dell'anticipazione, il racconto dell'attesa, il momento della conquista finale. Così il prodotto diventa quasi secondario, rispetto al "viaggio" che si prospetta per ottenerlo.
I rischi dell'attesa forzata
Ma attenzione: far aspettare i clienti è un'arma a doppio taglio. Se mal gestita, l'attesa genera giocoforza frustrazione invece che desiderio. Così, la differenza tra attesa desiderabile e frustrazione passa da tre elementi chiave: trasparenza, controllo e valore percepito. La trasparenza richiede comunicazione chiara sui tempi e sui motivi dell'attesa. Quando Tesla ritarda le consegne, fornisce aggiornamenti regolari che mantengono viva l'anticipazione invece di spegnerla. Il controllo significa dare al cliente una percezione di progressione. Le app che mostrano la posizione nella lista d'attesa o che offrono modi per avanzare più rapidamente, trasformano l'attesa passiva in coinvolgimento attivo. Infine, il valore percepito deve giustificare l'attesa: se faccio aspettare il cliente per un prodotto mediocre, l'attesa amplifica la delusione invece che il piacere. I brand che falliscono in uno di questi elementi, trasformano una potenziale strategia di engagement in un disastro di customer experience.
Democratizzare l'arte dell'attesa
Il marketing dell'attesa non è riservato solo ai grandi brand, però. Anche piccole realtà possono implementare queste strategie con efficacia. Un ristorante locale può trasformare la lista d'attesa in uno strumento di marketing, rendendo visibile la coda, offrendo piccole esperienze durante l'attesa, creando un senso di comunità tra coloro che aspettano. Un piccolo e-commerce può lanciare collezioni limitate con preordini, trasformando limitazioni logistiche in opportunità di marketing. "Solo 50 pezzi disponibili, preordina ora per la consegna tra due mesi" è una strategia accessibile a qualsiasi realtà. Uno studio professionale, a sua volta, può gestire strategicamente le nuove collaborazioni, creando liste di attesa per i nuovi clienti che comunicano implicitamente il valore dei suoi servizi. La chiave è trasformare l'attesa da necessità subìta a scelta strategica. Da problema logistico, a opportunità di marketing.
Il paradosso finale
In un mondo ossessionato dalla velocità, dalla consegna in giornata e dalla gratificazione istantanea, il marketing più sofisticato riscopre il potere della lentezza deliberata. Mentre la tecnologia ci spinge verso l’immediatezza, la psicologia umana continua a desiderare ciò che non può avere subito. È forse il più grande paradosso del marketing contemporaneo, il fatto che, nell’era della velocità, l’attesa sia diventata un lusso. I brand più intelligenti lo hanno capito: vendere un prodotto è facile, far desiderare un prodotto è un’arte.
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