Faccio una premessa doverosa, che suona quasi come il test “non sono un robot” quando ci si iscrive su un sito. Sono ancora umano proprio perché ho deciso di aprire l’articolo così, prendendola alla larga, scrivendo che ho resistito alla seduzione - molto umana - di redigere anche questo contenuto con l’AI. Attenzione, non si tratta di luddismo ipocrita (anche perché farebbe ridere, ormai sono più di 17 anni che bazzico il digital) anche perché nella tentazione, nel lavoro di tutti giorni, ci induco così tanto da risultare luciferino. Perfetto, appurato che nessuna AI, almeno per ora, avrebbe iniziato un contenuto su “come si sta evolvendo il content marketing con l’impatto dell’intelligenza artificiale” citando Ludd e Belzebù; possiamo andare avanti.
Quanto sono aumentati i contenuti generati dall’AI
Tuttavia, siccome sono una persona (in carne e ossa, seppure qualche impianto cyberpunk non mi dispiacerebbe) educata, ho chiesto alla diretta interessata un po’ di informazioni a riguardo. Ormai è l’abitudine.
In questo caso, all’AI di Google, Gemini. Quest’ultima mi ha citato uno studio di SEMrush del 2022 che parla del 38% di contenuti online generati dall’intelligenza artificiale e addirittura di un aumento previsto anno su anno del 600% degli stessi. Uno studio Gartner invece asserisce che entro quest’anno più della metà della Rete sarà composta da contenuti sviluppati dall’AI.
Google riconosce i contenuti generati dall’AI?
E a questa domanda, si scatena una bagarre talmente umana da sfociare nella tifoseria. La linea ufficiale del motore di ricerca, di cui la stessa azienda è quella di Gemini, asserisce che basandosi sulle linee guida dell’EEAT (Experience, Expertise, Authoritativeness e Trustworthiness) e sui propri algoritmi di apprendimento automatico, è in grado di dividere il grano dal loglio. Cioè non dice proprio così, ma è per rendere l’idea con una metafora e perché continuo a garantirvi che non sono ancora scoppiato e risorto come un robot tipo i Daft Punk.
Seriamente, quello che dice l’azienda è una cosa, quello che si vede nelle SERP sembra tutt’altro. E senza stare lì a fare esempi su esempi, questo è il secondo anno che sperimento con gran parte dei contenuti generati in AI, in pagine dei risultati di ricerca dove il più umano ha le sembianze di Bender di Futurama.
Giusto adesso stavo controllando un contenuto sul “coach per gli adolescenti” e il mio contenuto generato dall’intelligenza artificiale dopo un mesetto sta già nella parte alta della prima pagina.
Certo, non è una ricerca enorme, certo non ci sono mega competitor, ma quante SERP sono poi così? E comunque una delle più competitive con cui mi sono misurato negli anni era di qualcosa che qui la posso dire fino a un certo punto (sfera dell’adult) e comunque ci si arrivava solo a cannonate di link, quindi di che parliamo?
Il content marketing è messo al tappeto dall’AI, ma non è che è salito sul ring in perfetta forma
Di recente, grazie a un’amica, mi è capitato di leggere il paper di ricerca “Artificial Muses” di Jennifer Haase e Paul Hanel, uno studio congiunto dell’Università di Humboldt con il Dipartimento di Psicologia dell’Università dell’Essex.
Insomma, persone serie, non noi saltimbanco del marketing.
Al netto della dissertazione sul definire la creatività l’ultimo baluardo dell’umanità nei confronti delle macchine - che poi altro non è che combinare elementi già presenti in qualcosa di nuovo; è interessante il quadro che ne emerge: al di là di un 9,4% di testing umani che erano nettamente superiori ai sistemi di AI generativa più avanzati, il restante dei contenuti analizzati era ormai sullo stesso livello qualitativo. E siamo ancora all’inizio.
Insomma, se dopo solo tre anni da quando questi sistemi automatizzati sono disponibili al grande pubblico, ciò che era presente prima da “elaborazioni umane” è già stato pareggiato; allora FORSE - e dico FORSE - non è che quanto prodotto finora, e parlo nel campo del content marketing, sia stato chissà quanto qualitativo.
Del resto, ne scrivevo tanto tempo fa, pagando i contenuti a 3 euro, ma che effetto wow, unique selling proposition e quant’altro, si voleva ottenere?
Semplicemente, ora è molto più semplice e persino ancora più economico ottenere quanto si faceva prima.
Assimilare i Borg: come farsi aiutare dall’AI e non venire sopraffatti
“Voi verrete assimilati. La resistenza è inutile”. Si tratta del classico messaggio dei Borg di Star Trek. Ora, ribaltiamo l’assunto: come facciamo ad assimilarli invece noi, come i biologicissimi Zerg di Starcraft? (Qua se mi ha capito, automaticamente amico).
Partiamo dal presupposto che al di là delle belle parole, tutto questo Contenuto Re e qualità Regina con il budget di un giullare è finalmente saltato via con l’intervento dell’AI. E allora a questo punto non ci resta che sfruttare il più possibile, e in modo professionale, chirurgico, preciso e puntuale i prompt di intelligenza artificiale.
Personalmente non ritenevo possibile arrivare a lavorare così di meno a livello operativo diretto, producendo di più. Ma non è che penso di strofinare la lampada di “AI-ladino” e tutto si risolve.
Il tempo risparmiato nella produzione, che sì l’operatività andrà alla macchina, lo investo per diventare uno “stratega” migliore, per pianificare il più possibile il vero piano di contenuti migliore, per correggerlo e a farlo “vidimare” (se si tratta di qualcosa di socialmente impattante).
A scoprire strumenti validi e non i soliti due tre nomi noti che grazie a Google che becca il pattern, se uso il GPT come lo fanno il 90% delle persone lì fuori.
Il Genio ce lo devo mettere io. Ce lo devi mettere tu, umano.
Articolo a cura di Benedetto Motisi